Dermatite atopica: immunomodulatori a rischio
L’alternativa ai cortisonici. Con questa allettante prospettiva gli immunomodulatori topici (TIM) si sono affacciati pochi anni or sono sullo scenario terapeutico della dermatite atopica, sia dell’uomo che degli animali. Farmaci, cioè, capaci di esercitare un’azione antinfiammatoria ed immunosoppressiva simil-cortisonica, senza essere accompagnati dai pesanti effetti collaterali degli steroidi: dall’atrofia cutanea, alla dermatite rosaceiforme, all’aumento di pressione intraoculare in conseguenza di applicazioni facciali. Il loro meccanismo d’azione? Una down-regolazione dell’attivazione linfocitaria, unitamente ad una diminuito rilascio di sostanze ad azione flogistica e pruritogena da parte di numerosi elementi cellulari della cute, dai cheratinociti, alle cellule dendritiche, ai mastociti.
E con questo razionale che tacrolimus, e l’analogo pimecrolimus, hanno visto un progressivo dilatarsi del loro impiego clinico nel campo delle malattie infiammatorie cutanee – atopia in particolare – dove, a causa del decorso cronico e delle repentine riacutizzazioni, si deve giocoforza tener conto di una gestione farmacologia a lungo termine e, dunque, di tutti i rischi che essa comporta.
Ad incrinare la tranquillità d’uso dei TIM interviene però l’FDA che, con una nota d’avvertenza datata marzo 2005, li inserisce nella “scatola nera” dei farmaci, con la seguente circostanziata motivazione: “ Dati sia sull’uomo che sugli animali indicano che l’applicazione topica del tacrolimus accelera la carcinogenesi cutanea.”
Che fare, allora? La risposta viene ancora dall’FDA:” La raccomandazione è di usare tacrolimus e pimecrolimus come agenti “di seconda linea” per la dermatite atopica…Vale a dire per trattamenti brevi ed intermittenti ed in pazienti che non rispondano o siano intolleranti ad altre terapie.”
Articolo disponibile su richiesta a cedis@innovet.it