Epidemiologia delle malattia parodontale
“La malattia parodontale rappresenta un problema clinico rilevante nel cane, per le ripercussioni sia locali (alitosi, ascessi dentari, mobilità e perdita dei denti), sia sistemiche, con il possibile coinvolgimento di organi come rene, miocardio e fegato.”
Inizia così l’articolo di un gruppo di clinici veterinari dell’Università di Copenaghen, che ha indagato la prevalenza di gengivite e periodontite in un campione di 98 cani Beagle stabulati presso i centri di ricerca dell’università, ed aventi un’età compresa tra 1 e 6 anni.
In tutti gli animali indagati, è stata rilevata gengivite, con la presenza di placca, tartaro e sanguinamento dopo stimolazione con sonda parodontale (BOP, bleeding on probing).
Per contro, la prevalenza di CAL (clinical attachment loss) – vale a dire la graduale perdita di attacco del dente, parametro comunemente utilizzato per valutare l’evoluzione della gengivite in periodontite – aumentava dal 20% (rilevato nei cani di 1 anno di età) all’84% (riscontrato negli animali con più di 3 anni. Così come la prevalenza di tasche parodontali > 4 mm aumentava dal 44% all’81% man mano che saliva l’età dei Beagle.
I ricercatori identificavano anche gli elementi dentari più esposti alla malattia parodontale. I premolari mascellari P2, P3 e P4 erano particolarmente suscettibili alla perdita di attacco alla giunzione cemento-smalto; mentre i canini erano la sede preferenziale delle tasche parodontali.
Risultati, dunque, che permettono agli autori di concludere che la malattia parodontale ha una spiccata importanza clinica: compare come gengivite nei cani giovani e, specie se non opportunamente controllata, con l’avanzare dell’età evolve in franca periodontite.