Gatto anziano, ma sempre abile
Che il gatto sia un soggetto particolarmente complesso da studiare non è certo una novità. Lo è invece il fatto che anche il suo declino cognitivo, legato al trascorrere degli anni, rientri nelle caratteristiche difficilmente inquadrabili della specie felina.
A far emergere questo problema, è oggi un gruppo di comportamentalisti inglesi, che applica un test cognitivo specifico per l’apprendimento spaziale e la memoria a 36 gatti suddivisi in quattro gruppi di età: giovani (da 0 a 3 anni), adulti (fino agli 8 anni), anziani (dagli 8 ai 12 anni) e geriatrici, di età superiore ai 12 anni.
Ebbene, a dispetto dell’avanzare dell’età, le performance cognitive e mnemoniche dei gatti appartenenti alla fascia anziana e geriatrica non erano significativamente diverse da quelle espresse da soggetti giovani e adulti. A significare che nel gatto, a differenza di quanto riscontrato nel cane, l’invecchiamento cerebrale non si manifesta con una compromissione nè dell’apprendimento spaziale né della memoria.
Risultato sorprendente, affermano gli stessi ricercatori, specie in rapporto alle recenti evidenze che dimostrano come il gatto, al pari dell’uomo e del cane, vada incontro ad un complesso ben definito di alterazioni neurodegenerative età-correlate. È ipotizzabile che ci si trovi di fronte ad una differenza specie-specifica: i gatti, cacciatori solitari, sono costretti a resistere, proprio per ragioni di sopravvivenza spicciola, al calo delle loro performance motorie e cognitive, assai di più rispetto al cane che, strutturato in gruppo, può contare su un potenziale di difesa collettivo, oltre che individuale.
Ulteriori studi si rivelano dunque sempre più necessari per individuare le metodologie più consone a svelare i segni patognomonici di invecchiamento cerebrale nel gatto, al fine di attuare, anche per questa specie, precoci ed efficaci strategie terapeutiche contro l’invecchiamento cerebrale patologico ed i segni clinici ad esso correlati.