Cicatrizzazione: differenze tra cane e gatto
L’articolo – che porta la firma di due clinici americani del Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie dell’Università del Tennessee – parte dalla differenza tra ponies e cavalli. “I ponies – scrivono Bohling e Henderson – hanno una fase infiammatoria iniziale assai più intensa, che contribuisce ad ottimizzare anche gli stadi cicatriziali successivi…I cavalli, dal canto loro, sono propensi a sviluppare tessuto di granulazione in esubero e, dunque, ad andare incontro a problemi cicatriziali, come cronicizzazioni e/o deiscenze.”
E veniamo a cani e gatti. “Sono molte – scrivono i ricercatori – le differenze tra queste due specie: dalla minor perfusione cutanea e diminuita produzione di collagene nel gatto; alla maggior efficienza nella formazione del tessuto di granulazione del cane “che completa questa fase in un tempo medio di 7.5 giorni, contro i 19 giorni osservati nel gatto”; alla debolezza del “sottocute” del gatto, alla base di complicanze cicatriziali di vario genere, come le deiscenze (definite dagli Autori con il termine di “pseudoriparazioni”) o le cosiddette “indolent pocket wounds”: sacche sottocutanee ripiene di liquido e rivestite di tessuto di granulazione che né si contraggono, né si riassorbono.
Ed ecco alcuni spunti di natura applicativa. “Nel caso di ferite che – specie nel gatto – richiedano una cospicua resezione del sottocute, il chirurgo deve considerare l’attuazione di misure complementari che ottimizzino l’apporto sanguigno e facilitino una corretta e duratura chiusura della ferita…”.
“Resta, comunque, sempre da tener presente – scrivono i clinici nelle conclusioni – che nel gatto la riparazione cutanea procede assai più lentamente che nel cane. Le ferite chiuse per prima intenzione sono più deboli e quelle per seconda intenzione si formano tardivamente per minor efficienza delle fasi di contrazione e riepitelizzazione.”