Tipizzati i patogeni orali del cane
Mirko Radice, direttore sanitario di Dentalvet (il primo ambulatorio veterinario italiano dedicato esclusivamente ad attività di Odontoiatria e Chirurgia maxillo-facciale); Piera Anna Martino, microbiologa della Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano; Alexander Reiter, odontostomatologo dell’Università della Pennsylvania. Sono questi i tre autori dell’articolo, pubblicato sul numero di dicembre 2006 di JVD, il cui scopo era quello di “valutare la flora batterica sottogengivale (aerobica ed anaerobica) di cani affetti da malattia parodontale e la loro suscettibilità agli antibiotici attualmente utilizzati in Italia per il trattamento delle infezioni nel cane.” I risultati – ottenuti dall’analisi microbiologica del cavo orale di 13 cani di proprietà affetti da parodontopatie di vario grado (gengiviti, parodontiti) – vengono così illustrati dai ricercatori: “Tra gli anaerobi, il più rappresentato è il Bacteroides fragilis, seguito dal Porphyromonas gingivalis e dalla Prevotella intermedia. L’aerobio isolato più di frequente è lo streptococco alfa-emolitico, spesso associato ad Escherichia Coli e Pasteurella multocida.”
Relativamente alla suscettibilità e/o resistenza agli antibiotici, così si legge nell’articolo: “Gli anaerobi sono risultati sensibili ad amoxicillina ed acido clavulanico, doxiciclina ed eritromicina…I batteri aerobi anche alla gentamicina ed al sulfametroprim. Il Bacteroides fragilis si è dimostrato resistente a tutti gli antibiotici testati.”
“C’è la radicata tendenza – scrivono Radice e coll nella discussione dell’articolo – a prescrivere, senza alcuna apparente giustificazione, antibiotici per la cura della malattia parodontale del cane e del gatto…In realtà, pur considerando il coinvolgimento dei periodontopatogeni, la malattia parodontale può trarre beneficio primario solo dalla costante rimozione della placca e del tartaro, come dall’estrazione dei denti più gravemente compromessi o dal trattamento chirurgico delle tasche periodontali…A meno che non ci sia una fondata ragione per il loro utilizzo (es. pazienti immunocompromessi o con impianti permanenti), vale la pena evitarne l’impiego indiscriminato per la cura della malattia parodontale.”