Tommy: un paziente dermatologico da trattare con i guanti. Trattamento del prurito e delle lesioni cutanee di un gatto FIV positivo
L’allergia felina rappresenta oggi una delle sfide ancora aperte della dermatologia veterinaria, sia in quanto a diagnosi, sia per quanto attiene la gestione terapeutica. La difficoltà diagnostica è legata a vari fattori, come, ad esempio, l’eterogeneità delle manifestazioni cliniche e l’assenza di una localizzazione specifica delle lesioni. Così come la dermatite atopica del cane, anche l’allergia felina è una malattia cronica. Lì dove non si riesca ad individuare e rimuovere gli allergeni responsabili (evenienza tutt’altro che remota, purtroppo), il gatto allergico non può guarire. Va altresì gestito tramite una combinazione di interventi sintomatici (farmacologici e non) ed eventualmente antimicrobici, allo scopo di limitare il disagio e migliorare la qualità di vita dell’animale e del suo proprietario. Le terapie farmacologiche classiche (es. cortisonici) hanno spesso una buona efficacia clinica, ma rischiano di generare effetti avversi anche gravi, specie per trattamenti a lungo termine e se utilizzate in soggetti “fragili”, come gli anziani o quelli affetti da altre malattie (es. neoplasie, immunodeficienze congenite o acquisite). La PEA-um (palmitoiletanolamide ultramicronizzata) rappresenta un’opzione dietetica interessante per gestire in sicurezza l’allergia felina. Agisce in maniera fisiologica su uno dei meccanismi che sostengono le lesioni cutanee ed il prurito: l’eccessiva degranulazione dei mastociti cutanei. Inoltre, è un intervento sicuro ed efficace, sia nel cane che nel gatto. Il caso descritto di seguito rappresenta un esempio pratico utile a capirne le potenzialità nella clinica dermatologica del gatto.
Autore: Chiara Noli DVM, Dipl ECVD, Servizi Dermatologici Veterinari, Peveragno (CN), Italy
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