Alzheimer: cosa unisce l’uomo al cane
Un gruppo di patologi coreani pubblica su “Journal of Comparative Pathology” i risultati di un dettagliato studio istologico ed immunochimico, volto a stabilire sia il nesso causale esistente tra alterazioni strutturali del cervello di cani anziani e presenza di deficit cognitivi, sia la somiglianza con analoghe variazioni riscontrate in pazienti affetti da malattia di Alzheimer.
Nel mirino dei ricercatori sono finiti marcatori molto noti delle patologie neurodegenerative senili di entrambe le specie: dalla proteina beta-amiloide che, con l’età, si deposita nella parete dei vasi cerebrali e meningei; alla proteina tau che, in virtù di anomalie del suo stato di fosforilazione, si aggrega nei cosiddetti grovigli o ammassi neurofibrillari; alla perdita progressiva dei neuroni che inevitabilmente accompagna l’invecchiamento del cervello.
Rispetto ai cani anziani sani, nei 10 soggetti con diagnosi comportamentale di disfunzione cognitiva si evidenziava una marcata deplezione neuronale, accompagnata da modifiche ipertrofiche vascolari a carico della corteccia cerebrale e dell’ippocampo. Non solo, ma i cani affetti da demenza senile manifestavano un accumulo molto più marcato, rispetto ai soggetti sani, sia di proteina beta-amiloide, che di proteina tau, co-localizzata assieme ad altre proteine regolatorie (ubiquitine) su neuroni ed astrociti.
Un complesso di modifiche che i ricercatori hanno peraltro individuato anche durante l’analisi microscopica del cervello di 5 uomini anziani con diagnosi di malattia di Alzheimer.
Qualche differenza? La distribuzione topografica delle proteine a significato neurodegenerativo, piuttosto che l’assenza nel cane dei caratteristici ammassi di proteina tau, forse, sostengono i ricercatori, perché la vita media più breve del cane rispetto a quella dell’uomo non dà tempo a questa proteina di accumularsi.
Il “messaggio chiave” è lampante: nel cane e nell’uomo l’anzianità cerebrale corre su binari paralleli, con la condivisione di molti dei meccanismi che scatenano la neurodegenerazione patologica e, ovviamente con le debite differenze legate alla specie, con la diretta correlazione di tali meccanismi alla comparsa di invalidanti deficit comportamentali, di cognizione e memoria.