Parodontopatie: 3 elementi per il controllo
“Pensiamo ad un mondo assolutamente perfetto. Tutti i medici veterinari (e non solo gli specialisti) sono in grado di riconoscere una parodontopatia fin dagli stadi iniziali, raccomandarne l’adeguato trattamento e prevenirne, così, la pericolosa progressione. Tutti i proprietari dispongono di risorse economiche, tempo e volontà, sufficienti per occuparsi adeguatamente della salute orale del loro piccolo animale. E tutti i cani sono calmi, non presentano alcun rischio anestesiologico e, volentieri, accondiscendono alle quotidiane cure domiciliari… Sfortunatamente, la perfezione non appartiene a questo mondo.” Questo è l’originale esordio dell’articolo di Frazer Hale, pubblicato nel numero di giugno 2003 di The Journal of Veterinary Dentistry, la rivista ufficiale dell’AVDS (American Veterinary Dental Society). “Nella realtà, non è detto – continua Hale – che un medico veterinario conosca a fondo le parodontopatie, come non è detto che tutti i proprietari siano disponibili, non solo economicamente, ad occuparsi della salute della bocca del loro cane… E, per finire, non tutti gli animali sopportano le cure odontoiatriche!” Che fare, allora? È lo stesso Hale ad indicarci la formula vincente. “Il trattamento va individualizzato. Ogni paziente ed ogni proprietario vanno singolarmente valutati, assieme ad un’attenta disamina dell’ambiente di vita. Solo così, è possibile mettere in atto degli schemi di trattamento che abbiano una ragionevole probabilità di successo, consentano, cioè, di eliminare o, addirittura, prevenire gli stati infettivo-infiammatori e dolorosi che caratterizzano le parodontopatie, soprattutto in fase avanzata.”
Hale ribadisce, poi, il superamento del concetto di “salvare i denti ad ogni costo”. “In ambiente domestico, i cani non hanno bisogno di difendere il territorio o di mettere in atto atteggiamenti predatori…Dunque, è molto meglio avere pochi denti, ma funzionalmente sani, piuttosto che una dentatura completa, magari in pessimo stato di salute!”